Che la ricchezza non basti a misurare il benessere non è una novità, ci sono infatti vari tentativi nel mondo, di sostituire il Pil con altre misurazioni, come quella della “felicità” scelta dal Buthan. Ma ora è la Cina a muoversi, con oltre 70 città e distretti che hanno abbandonato il Prodotto interno lordo come misura della performance locale, ponendo attenzione sull’ambiente e sulla riduzione della povertà, proprio quando l’OCSE progetta di sostituire il Pil con il suo Better Life Index.
Fujian, provincia costiera finora concentrata sulla movimentazione delle esportazioni e il manifatturiero, ha annunciato che sostituirà il Pil con indici sull’agricoltura e la protezione dell’ambiente in 34 dei suoi distretti. Nei mesi scorsi è stata la volta di Hebei, distretto siderurgico a nord di Pechino, e Ningxia, regione povera del nord est della Cina. A Hebei l’obiettivo è ora quello di ridurre le fabbriche che producono smog (lo smog che affligge anche Pechino, a un centinaio di chilometri, che a sua volta sta chiudendo i suoi impianti più inquinanti). Via dunque cementifici, acciaierie e centrali elettriche. In più, c’è un piano di lotta alla povertà e per lo sviluppo rurale, con l’obiettivo di ridurla a zero entro il 2020. Le aree di Guangxi, Guangdong e Jiangxi hanno a loro volta rallentato la corsa alla crescita del Pil, e incoraggiano terziario e primario, con servizi, allevamenti e trasformazione non industriale dei suoi prodotti. La stessa Pechino ora si vanta di aver chiuso nel primo semestre dell’anno ben 213 aziende inquinanti.