Molte cose sono cambiate. Viviamo in un mondo completamente diverso. La rottura era già nell’aria ancora prima della crisi finanziaria. Il modello stava già cadendo a pezzi: l’idea di un’economia che promuove sempre più i consumi, se necessario creando sempre più debito, non funziona. Era già in difficoltà nel 2006. Quando arrivò la crisi finanziaria, sembrava che tutto potesse tornare come prima. Ma il modello economico attuale crea disuguaglianze, crea problemi ambientali, crea un sistema finanziario instabile, non sta migliorando la vita delle persone, rendendole più felici.
Non possiamo risolvere i vari problemi solo con la tecnologia, o con l’austerità, questa lascia indietro milioni di persone, fa crescere i movimenti populisti, sia a destra che a sinistra, e tutti rivendicano una sorta di speranza per il futuro, in qualsiasi modo, se necessario anche uscendo dall’Europa, come è accaduto in Gran Bretagna. Questo è un periodo straordinario della storia perché il consenso nei confronti del capitalismo e della democrazia sta crollando. Il mondo accademico è concorde nell’affermare che una crescita infinita in un mondo finito è praticamente impossibile, ma se da una parte sappiamo di vivere in un mondo dalle risorse definite, dall’altra abbiamo un sistema economico che ci dice che più consumiamo, meglio è. Gli ecologi ci dicono che non possiamo espanderci oltre al nostro pianeta, mentre gli economisti rispondono che la tecnologia potrà rendere efficienti tutti i processi, impiegando meno risorse.
L’economia circolare è un’idea fantastica, come il pensiero di rendere tutto il sistema economico più efficiente, ma non è sufficiente, non affronta il problema centrale dell’economia. Se pensiamo che l’economia circolare possa dare nuova linfa alla crescita economica, rendiamo tutto più difficile. Cioè se vogliamo che l’economia cresca sempre più velocemente, dovrà diventare sempre più circolare, più efficiente. E questo è impossibile. Ciò di cui abbiamo bisogno è un altro tipo di economia: rivedere i concetti di impresa, di lavoro, di investimento, di denaro. Da un punto di vista meramente capitalistico, l’impresa non è altro che un processo per massimizzare i profitti, per estrarre materie prime il più velocemente possibile, trasformarle e venderle al prezzo maggiore possibile, per poi buttarle via. Ma questa è un’idea sbagliata di ciò che dovrebbe essere l’impresa, che dovrebbe invece provvedere a fornirci ciò di cui abbiamo bisogno per raggiungere una qualità migliore di vita. Ecco perché dobbiamo ripensare il modello di impresa. Vogliamo un’impresa che continui a produrre secondo il modello lineare? No, vogliamo produca in maniera più circolare. Vogliamo che fornisca sempre più prodotti? No, vogliamo dare alle persone una migliore qualità di vita: quindi assistenza sanitaria e sociale, educazione, conservazione degli ecosistemi, riqualificazione urbana. Ovvero effettuare investimenti nella società, nella cultura, nelle capacità delle persone di convivere. Dovremmo iniziare a pensare, piuttosto che a un sistema di produzione di massa, a uno in grado di fornire prodotti e servizi di cui le persone abbiano realmente bisogno a livello locale, per incrementare la loro qualità di vita.
da Tim Jackson, Prosperità senza crescita. I fondamenti dell’economia di domani