La settimana mondiale dell’acqua, dal 31 agosto al 5 settembre 2014 è organizzata dallo Stockholm International Water Institute (SIWI). Quest’anno tema base è “Energia e acqua”. Il tema è affrontato da due prospettive: le opportunità e le sfide sociali, e le questioni trasversali. Poniamo la nostra attenzione sull’indicatore Water Footprint. Nel dossier “UK Water Footprint: the impact of the UK’s food and fibre consumption on global water resources” presentato appunto a Stoccolma, Stuart Orr, esperto di impronta ecologica dell’acqua afferma che la Gran Bretagna è la sesta maggiore importatrice di acqua virtuale al mondo, ( cioè dell’acqua contenuta e utilizzata per produrre cibo e merci importate), gli altri cinque maggiori importatori idrici di acqua virtuale sono Brasile, Messico, Giappone, Cina e Italia.
Tanto per avere un ordine di grandezza e di proporzione in Italia si consumano 215 litri di acqua reale al giorno a testa e in Gran Bretagna 150 litri, contro i 2,5 litri che rappresentano la stima del fabbisogno per le esigenze di vita. Ma se si conteggia anche l’acqua virtuale la cifra aumenta per entrambi i paesi mediamente di trenta volte. “. Il paradosso è che moltissimi di questi prodotti provengono da aree del mondo in cui le risorse idriche sono già sotto stress o lo diventeranno presto”.
Per coltivare un pomodoro importato dal Marocco servono 13 litri d’acqua, in una tazzina di caffè se ne nascondono 140, in una camicia di cotone del Pakistan o dell’Uzbekistan 2.700, provenienti dal fiume Indo o da altri corsi d’acqua che alimentano il Lago di Aral nell’Asia Centrale. Gli eccessivi prelievi per l’irrigazione dei campi di cotone hanno significato per il Lago di Aral una perdita d’acqua dell’80% negli ultimi 40 anni, con conseguenti danni alle comunità locali (l’azzeramento della pesca e dei commerci per nave nell’Aral) e alla biodiversità (il delfino d’acqua dolce presente nell’Indo corre il serio rischio di estinguersi).
Patty L’Abbate